La signora vedova Yasunaru, ormai da un anno, non era riuscita ancora ad abituarsi alla nuova condizione di donna sola. Le figlie, sposate e lontane, venivano a trovarla una o due volte all’anno, l’ultima volta proprio per il funerale.
Minoku, passando dal proprio giardino, l’aveva notata, immobile al tavolo della cucina, un’occhiata dopo la spesa, ancora lì, dopo la cena, ancora lì, un’ombra nell’oscurità. Le aveva fatto una gran pena.Yasunaru aveva scandito la giornata intorno al marito, tutto era stato fatto in relazione a lui. La mattina per fargli colazione, poi per lavargli gli abiti, stendere stirare, fare la spesa cucinare, ogni momento in relazione a lui. Ora, si svegliava di soprassalto e non sapeva cosa fare. Perché lavare? Perché cucinare? Perché uscire? Perché mangiare?Vedendola in quello stato, la vicina Minoku l’aveva invitata a casa. Ne aveva approfittato, quando per un attimo la donna era uscita dalla sua tana: “Signora Yasunaru, vuole venire a prender il tè?” , Yasunaru voleva subito dire no, ma le sembrava una scortesia, per quella vicina che tanto era stata simpatica a suo marito, una gran brava donna. E così incominciò ad andare, diventando un’abitudine. Si sedeva nel dondolo del giardino e sorridente guardava l’evolversi della giornata della famigliola, anche lei un tempo ne aveva avuta una simile.
I figlioli di Minoku, prima di andare a scuola ormai avevano preso come rito di andare a salutare la signora Yasunaru nel giardino. Di tanto in tanto, Minoku le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. “Nulla, grazie, sto bene. Grazie Minoku”. Minoku abbassava il capo, si girava e si commuoveva, sentiva che quel grazie aveva un senso molto più profondo, alcune volte le scappava una lacrima. La signora Yasunaru aveva questo effetto su di lei, forse perché le ricordava la madre, forse perché si rifletteva in lei in un lontano futuro, o forse più semplicemente perché Minoku era un’anima bella.
Certo che al marito questa situazione non incominciò più a garbare. “La signora Yasunaru, l’abbiamo adottata?” All’inizio la chiamava signora, poi più spiccio, la vecchia.“Parla piano, che ti sente”. “Io sto a casa mia, avrò diritto di pensarla come voglio, no?!”. “Dài, calmati, è così una cara donna… si stava lasciando morire… che ti fa di male?”.“E già, apri la porta, c’è qualcun altro? È casa mia, voglio vederci solo la mia famiglia, chiedo molto?”. “Calmati, facciamole prendere un poco di forza e coraggio che poi sarà naturale per lei…” Dal tè al pranzo, ogni giorno.
Una sera a cena: “Oggi non è venuta, finalmente… e i discoli perché non stanno a tavola?” “Zitto, è dietro di te!”. “ Bravi, bambini. Eh eh, mi hanno aiutata a portare i vassoi. Questa è la mia cucina, spero gradiate…”. “Oh, signora Yasunaru, non doveva scomodarsi…”. “Che dici Minoku, sei tu che ti scomodi sempre per questa povera vecchia che sono io”. Minoku si alzò, perdonò un momento. Si allontanò in giardino e si mise a piangere. Asciugandosi poi le lacrime, guardò la scenetta familiare con il marito che apriva le fauci con soddisfazione e i figlioli che richiedevano la loro parte come pulcini affamati. La signora Yasunaru si mise a raccontare fatti della gioventù, di altri tempi, di una vita semplice, dura e felice. Il marito di Minoku si ricordava, di quando era piccolo, delle trasformazioni della città e di altre cose di cui solo ora, grazie alla signora Yasunaru, veniva a conoscenza. L’anziana signora si accomiatò, con una luce diversa negli occhi e ringraziò per la bella serata. “Ti rendi conto?”, disse Minoku al marito, “Era un anno che non metteva mano ai fornelli”. “Domani le ho chiesto di portare le foto di famiglia, mi farà vedere alcune cose della sua giovinezza”.
ps: foto tratta da questo sito che ho scoperto grazie al blog di GianlucaeKanako