Devo ammettere che all'epoca del caschetto biondo, consideravo Nino D'Angelo un fenomeno di sottocultura di Napoli. Allora non immaginavo che D'Angelo sarebbe riuscito a rigenerarsi offrendo una interpretazione del tutto personale, una fusione di ritmi moderni e popolari nel solco della tradizione canora napoletana. Lo stesso artista è consapevole di questa evoluzione, un salto di cultura che iniziò con la perdita del caschetto. Ora è ritornato ad essere direttore artistico del Trianon, e questo è un bene perché D'Angelo ha maturato delle qualità, anche attoriali, che lo hanno portato ad interpretare Vivaldi con grande originalità.
Un merito a Nino D'Angelo va per non avere mai tradito le radici della napoletanità artistica, non ha mai cambiato abito, come invece ha fatto D'Alessio che è passato dal napoletano all'italiano baglionesco.
Il cantante col labbro tremulo e l'intonazione da "Vesuviano", è un ricordo di costume. I film dalla trama improbabile recitati con i piedi, ora fanno sorridere. D'Angelo è sempre stato leale con se stesso ed il suo pubblico. Diceva che non era un attore, ma solo un cantante e autore e raramente si impegnava ad interpretare il repertorio classico, perché non si riteneva all'altezza, ma anche perchè in fondo non era questo il suo target caschetto. Era l'idolo delle ragazzine, piaceva così con quelle canzoni di amori adolescenziali strappati. Così anche i film agli occhi delle fans, diventavano credibili. La trama tipica, un ragazzo innamorato di una minorenne e contraccambiato, ma usato come toyboy, lui, da donne in carriera ricchissime e bonissime. Stiamo in un film di pura fantasia: un fuscello senza un muscolo, mingherlino, dal viso butterato, porta in subbuglio gli ormoni di eleganti signore borghesi.
Ma a me piace ricordarlo così, primo ballerino, in incognito, del teatro Bolshoi: