giovedì, febbraio 19

Carlo Verdone l'Italian(s) parte due


Carlo Verdone ha detto che nel prossimo film vedremo un’ interpretazione più corrispondente a ciò che cerca e appartiene alle sue reali corde, una recitazione senza inflessione dialettale. È una sua fissazione, evidentemente pensa che ci sia qualcuno che non lo considera… Eccolo di nuovo il Verdone che si ripudia, eccolo di nuovo il complesso dell’intellettuale, della classe medio-alta-borghese che non accetta il suo modo ‘coatto’, nel senso largo del termine, di recitare. Esiste una classe borghese a Roma, di cui anche Verdone fa parte, con una schizzinosa visione del popolo basso, che è anche quella che ha Verdone, perché anche se non sembra lui è chiuso nel suo vizio borghese, di guardare dall’alto in basso, di dividere in due parti tra loro impermeabili, la città di Roma; da un lato i quartieri poveri, dall’altro i quartieri borghesi, ognuno con i suoi spazi, totalmente inconsapevole dell’altro mondo, da avvicinare con avvertenze prima dell’uso, manco fossero degli animali primitivi. Sordi si apriva al popolo, da cui proveniva, la lettura dei personaggi e il suo essere sempre se stesso, furono la cifra che lo contraddistinse e ne fecero un attore unico. Non ha mai pensato di recitare senza inflessione. Altro background per Verdone. Non voglio nominare dei quartieri a caso, sono noti, ebbene neanche per sbaglio si va a finire da quelle parti, c’è proprio il distacco di classe sociale, non si comprendono, non si somigliano e soprattutto non si amano, gli uni li guardano con invidia e rancore, gli altri con timore e insofferenza. Ma è proprio quello, il popolo basso che si trova e si immedesima in Verdone, quel popolo da cui lui non proviene, mentre l’altro popolo, quello alto, lo guarda con distacco come un oggetto volgare; e lui soffre di questo distacco. Ecco perché ancora una volta Verdone sta cercando se stesso, per far coincidere la recita con la realtà del suo quotidiano. Figlio della Roma-cosiddetta-bene, termine che dopo la strage del Circeo suona ambiguo, frequentatore di un liceo per figli di persone che contano, il cabaret che lo contamina e lo fa apparire per quello che non è, un equivoco del pubblico che fa simbolicamente diventare più rappresentativo del suo recitare, rispetto alle altre geniali parodie, il romanaccio un po’ coatto e un po’ burino. Perciò, quando Verdone dice che cerca di uscire fuori da questo personaggio, dice la verità, cerca se stesso, vuole tornare nel grembo della sua classe medio-alto-borghese e farsi apprezzare anche dai suoi ‘simili’. Può essere una delusione, per il pubblico che lo ama, un Verdone dimesso, con le battute misurate, in dizione italiana, che devono lasciare riflettere. L’ironia di testa contro la comicità di pancia, non è detto che la prima sia più elegante della seconda, forse è il contrario.
Il circo è la via giusta. Mi riservo di continuare...

domenica, febbraio 15

Carlo Verdone l'Italian(s)



L’ultimo film interpretato da Carlo Verdone è “Italians”. Diviso in due parti, nella prima parte Castellitto e Scamarcio, nella seconda Verdone ed un bravo comprimario, Dario Bandiera, il cabarettista siciliano che è uscito dai villaggi turistici, come Fiorello. In comune le due storie hanno la polarità dei personaggi. Castellitto e Bandiera rappresentano gli Italiani da esportazione, quello che si aspettano gli stranieri, pizza e mandolino, i luoghi comuni della generosità e cialtroneria dell’Italiano all’estero, un po’ mariuolo un po’ latin lover, simpatico perché perdente. Verdone e Scamarcio sono l’Italiano sistemato, con una precisa collocazione nella società, che non ha bisogno di cercare affari e intrallazzi all’estero, perché è già riuscito nella propria vita e nel proprio paese. Castellitto recita da par suo, ormai ben rodato nel ruolo, in questa pellicola è gran debitore di Sordi e Manfredi, anzi nella scena finale c’è un chiarissimo riferimento alla commedia all’italiana, “Riusciranno i nostri eroi…”. Su Scamarcio… è evidente che la scelta dell’ attore, in questo film in particolare, non è dovuta alla capacità interpretativa nei livelli della commedia, che non sono per nulla suoi, né tanto meno quella di confrontarsi con un mostro di bravura come Castellitto, l’unico vero grande attore italiano nel solco della tradizione della commedia all’italiana. Piuttosto è un motivo di budget, di marketing per attrarre una certa fascia di spettatori.
La soluzione finale dei due script è elementare oltre che banale.
Su Verdone… direi che ricalca quello che si aspetta il pubblico. C’è qualcosa di non riuscito in questo nostro grande (ex) talento del cinema italiano, e sarà anche motivo di quella velata tristezza che lo accompagna, di ansie da prestazione. Insieme a Benigni e Troisi è entrato di diritto nella storia dello spettacolo italiano. Eppure in Verdone non è risolto, una conflittualità interiore che ha una ragione, a mio avviso ben precisa. I talenti devono essere lasciati liberi di esprimersi, la caratteristica del personaggio è prima di tutto la persona medesima. Se viene imbrigliata in una scuola di recitazione, in una connotazione di spessore artistico studiata, si rischia di corrompere la genuinità del ‘prodotto’. Verdone è l’unico tra i tre, ad aver seguito il Centro Sperimentale di Cinematografia. Potrebbe essere questa la ragione della sua condizione di mezzo. L’intenzione di dover rendere all’opera uno spessore, un significato, una valenza ‘alta’, de-struttura il talento naturale, devia, e purtroppo ha deviato, il corso naturale del suo progresso, della sua unicità. Verdone si è perso dietro la vana ricerca di una soluzione per fare il cosiddetto cinema di autore, e invece bastava che interpretasse se stesso senza lasciarsi condizionare troppo dall'insegnamento. C’è una cosa che, secondo me, gli pesa molto, è l’unico dei tre a non aver mai bazzicato gli Oscar americani, anche se l’oscar è un terno al lotto e per arrivarci bisogna entrare nei canali giusti. Verdone non ci è mai entrato, e nessuno lo ha proposto tra case di produzione e poteri forte del cinema mondiale. Che quello di Verdone non sia un cinema da esportazione? Troppo regionale, troppo romano? Forse, anche Sordi non valicò mai l’Atlantico, non è un demerito. Eppure Troisi era una maschera napoletana e Benigni un burattino toscanaccio. E allora? Ritornando ad “Italians”, sembra che qui Verdone abbia quasi gettato la spugna, troppi “mortac… tua”, uno sfogo una sconfitta o una deriva? Ma c’è ancora una possibilità, anche perché con “Grande grosso e Verdone”, si è giocato la carta sequel, la possibilità è nel far prevalere qualcosa di quello che è, non è sufficiente la rappresentazione della dipendenza dai psicofarmaci, e non l’imitazione di quello che era. Lo esprimerò nella seconda parte, anche con un’idea.
fine prima parte