mercoledì, ottobre 31

Il regno di Balua

Questo è il Regno libero di Balua, dove la sfiga non esiste perché è soltanto un 'prodotto delle nostre elucubrazioni mentali'. Tutto ciò che desideriamo, in questa terra accade, a patto che non sia un desiderio dettato dall'invidia. Tutte le nostre aspirazioni, i nostri sogni si realizzano. Non ci sono limiti alla volontà di amare perché l' egoismo è bandito. Possiamo profondere il nostro amore verso il prossimo senza diffidenza. Il dolore si trasforma in felicità, il pianto in sorriso, la nostra vita darà vita agli altri, il nostro cuore sarà il cuore degli altri.
Tutto quello che sarebbe dovuto essere, è.
Tutto quello che doveva essere, sarà.
Difficile trovarla, fortunati quelli che ci riusciranno , perché bisogna crederci. Chi nutre dubbi, gli girerà intorno senza accorgersi di stare ad un passo dalla felicità.

lunedì, ottobre 29

KARAKAI

Kai è andata a Roma ed io non sono riuscito ad andarci. Non siamo padroni del NOSTRO tempo, eppure è il nostro. Forse saremo padroni dello spazio, che non è il nostro?! Avete mai avuto notizia di qualcuno che ha regalato una terra ad una donna? Mai, neanche Antonio ci riuscì con Cleopatra. E Colombo aveva tutto spesato.
Perché le donne si accontentano di poco (!),
sono come gli indigeni del 1600, basta regalare loro cosucce luccicanti (!). Lo sanno bene i ricchi emiri che coprono le innumerevoli mogli con cascate di diamanti, che sono solo pietre dure e in fondo non servono a nulla. Kai si accontenterebbe di queste cosucce insignificanti? Non credo, per Lei è ben poco.
Eccoti un regno, bello che fatto. Un poco come gli appezzamenti di terreno su Marte che hanno già dei proprietari.
Ma tu lo hai dedicato a tuo nome e sta sulla Terra.
È il minimo per te… karakai

giovedì, ottobre 25

Uno scherzo goliardico da spiegare




Vorrei chiarire un concetto, non è che io non essendo d’accordo con le linee comportamentali e/o politiche di Veltroni non sia di sinistra; è lui che di sinistro gli è rimasto soltanto il tiro. Ad essere più precisi questa sinistra governativa è tutto fuorché una Sinistra. Veltroni è un borghesuccio viziato (come molti intellettualoidi di sinistra) ed il suo modo di fare e gestire le cose pubbliche è in linea con la sua condotta di vita. Non disonesta, ci mancherebbe, anzi anche ben retta, ma puntuta alla scalata verso il potere con l’ambizione tipica di qualsiasi borghese finto-cattolico appartenente all’ex generone romano.
Il fatto è che non c’è proprio niente da fare, quello così è e non si può cambiare. A meno che con un colpo di mano non venga un ‘nuovo’ soggetto; ma siccome WV ha le spalle ben protette da una fitta rete di potentati imprenditoriali a destra e a sinistra, la ipotesi cade nel vuoto. Una seconda possibilità sarebbe un suggeritore di sinistra che lo blocchi ogni volta che sta per dire una cazzata o peggio fare una collionata, per ringraziarsi i suddetti potenti (la maggior parte dei quali, chissà perché, hanno in comune la passione del canottaggio teverino, anche se non ha mai messo il culo su una canoa, mah! misteri romani).
Dunque questo suggeritore di sinistra gli direbbe ciò che ha sbagliato per non errare in futuro.
Ora faccio un esempio, piccolo piccolo, così per capirci.
Facciamo che il suggeritore sia io e che con tutto il rispetto dia del Tu a WV.

A caso ho preso questa figurella che hai subito a settembre dinanzi ai giovani di AN.
Per prima cosa ti dico: questo scherzo ha un vizio di forma. E tu lo avresti dovuto capire ma ci sei cascato con tutti i panni. Infatti era impossibile non cascarci perché le borgate romane non solo sono numerose, e neanche era questo il motivo perché tu non sapessi della borgata Pinarelli, ma vengono chiamate anche con nomi diversi dagli abitanti che vi risiedono, secondo le stagioni e gli eventi; inoltre molte borgate sono sparite e altre sono nate, molti nomi sono scomparsi e altri doppiati con nuovi. Potevi tranquillamente accettare di esserci cascato perché chiunque sarebbe caduto in inganno, e non te lo dico con il senno di poi, perché queste sono azioni comportamentali che dovresti avere inserite nei tuoi geni e che evidentemente non hai. Invece no, hai continuato a negare l’evidenza non rendendoti neanche conto che così cadevi ancor più nel ridicolo. Questa è presunzione, ne hai parecchia, e ti arreca più danni di quanto possa immaginare.

Il mio consiglio non ti costa niente, perché non rientro nella categoria ‘iopoliticovoglioesserepagatoanchelariacherespiro’.

Sicuro che questa mia non sia servita a un casso,
porgo i miei riverenti saluti

uno di sinistra

martedì, ottobre 23

Una faccenda mutuata dalla cunzia

piccola premessa
questa storia nasceva come racconto ma poi mi stancai e, avendo tutto già tutto in mente, la conclusi come mezzo soggetto per un ipotetico film. Solo due persone l'hanno letta: una mia carissima amica e (forse) un regista e attore pugliese, al quale alla fine di una sua conferenza gli passai un foglietto, con su scarabocchiata una email incomprensibile.
Ma in verità a me sembra tagliata per due attori che si sono già cimentati insieme in un film di Scola: "Concorrenza sleale", Castellitto e Abatantuono. Il primo lo vedrei come Marcolando, il secondo come il barone. Giudicate voi.

Una faccenda mutuata dalla cunzia

“Ha costruito per far qualcosa, per ottimizzare al suo fisico quello che gli sta intorno. Ma perché un raggio isolato va ad accendere quell’unico paesino incastonato nella penisola, affacciato sul Mediterraneo? Un caso. Eppure simili amenità sono l’essenza delle sue ragioni. Fare e pensare per riformattare il mondo, poi ritornare a pensare su questa impalcatura, continuare a pensare e costruire ancora impalcatura sopra impalcatura. Sino a quando la già vecchia verità diventa invisibile. E la nuova verità, che è già antica, diventa la verità. Ma c’è mai stata una verità?”
Il vecchio Marcolando non lo aveva mai detto a nessuno; aveva continuato la sua modesta esistenza aspettando quel raggio di sole che una volta veniva e una volta no ma sempre sospirando dinanzi al cielo che nulla ha veramente un senso, nel senso di verso, cioè che non c’è nulla in cui possiamo riporre la certezza che sia nel verso giusto. Il sole che spuntasse o meno non aveva importanza così come il suo insolito nome, Marcolando si limitava a dire ai suoi compaesani che nel paese dei pazzi il savio è il vero pazzo. Su tutto si può trovare una ragione e tutto è possibile, anche che un pazzo diventi il capo di una nazione e che la strage di innocenti inermi sia giustificabile e che la vita abbia un senso, ma chi, cosa ci dice che quello sia il senso, nel senso di verso, giusto?
Marcolando non era nato contadino, aveva fatto studi di avvocatura e per un paio di decenni esercitato. La verità dell’avvocato è una ricostruzione finalizzata, sul codice penale e civile. Marcolando decise di raccontare l’indicibile e per questo aveva lasciato la professione. Ma era difficile, tanti titoli, tante stesure e lui intanto diventava vecchio. Poi ebbe una trovata: prima avrebbe scritto senza dare un senso alle cose, poi lo avrebbe cercato, come succede nella vita. A incominciare dal titolo che in fondo non significava nulla. Eppure tutto si può vestire di significato perché è l’uomo l’artefice del suo destino. Poiché il verso giusto non esiste, ogni frase è buona per acquisire un significato apparentemente sensato.
Il costruttore era il ricco proprietario terriero, vero padrone del paese e di quasi tutte le terre circostanti. Aveva costruito la sua dimora in faccia al mare per cogliere quel raggio di sole; ma una casupola rurale su uno dei rari fazzoletti di terra ancora non suoi, catturava il raggio per prima lasciando alle spalle un cono d’ombra che finiva giusto nello studio del barone. Non che il palazzo fosse mal esposto: la mattina si svegliava accarezzato dal sole e tutte le camere si inondavano di luce. Era solo nello studio la pecca, lì il barone passava quasi tutta la giornata e quando il sole si poneva nella giusta posizione per entrarvi di slancio ecco la casetta pararsi davanti. Il barone, scurito dall’ombra e dalla stizza, era costretto ad accendere i lumi. Mentre Marcolando si godeva il sole pomeridiano in una sedia a dondolo con le gambe distese su uno sgabello, senza aver mai cercato il sole. Perché era lui l’abitante di quella casetta. Il barone aveva persino querelato l’architetto che gli aveva progettato il palazzo e l’architetto si era difeso, anzi si era fatto difendere dall’unico avvocato che si era sentito di difenderlo, Marcolando, l’ultima causa prima di ritirarsi. La potenza del barone si era manifestata, nonostante la calda arringa di Marcolando, l’architetto aveva perso la causa ed era stato costretto a rimettere il settanta per cento della parcella, che neanche era stata pagata. Poco male, Marcolando continuava a godere del sole, a scrivere sotto la luce naturale il suo strano libro: “Una faccenda mutuata dalla cunzia”.
La vittoria di Pirro del barone non era bastata a quietarlo. Quel cono d’ombra che si presentava tutti i sacrosanti giorni nel suo studio lo inferociva e se ne stava quasi prendendo una malattia. Quando il sole rifaceva capolino nello studio era già spento di un rosso cupo di tramonto e in pochi minuti scivolava dietro la montagna. All’inizio il barone si rendeva conto che quella situazione era scaturita solo da un increscioso incidente ma in seguito, con la bile salita al cervello, aveva individuato in Marcolando la causa del suo guaio; come se l’avvocato avesse costruito lo propria dimora prima della sua. Marcolando godeva di questa situazione di vantaggio e non lo nascondeva; sebbene lui simulasse dispiacere e rincrescimento, il barone sentiva di essere canzonato, Marcolando lo stuzzicava.
Comunque i dissapori nascevano da lontano…

La visita del barone

Marcolando con lenta e impeccabile precisione stirava i pantaloni nella prima stanza dell’ingresso. Di tanto in tanto alzava lo sguardo verso il sentiero che portava su alla casa. Una figura nera, imponente si muoveva intenta a guadagnare faticosamente la salita. Marcolando spostò la tendina, era il barone avvolto nel suo mantello nero. Si disegnò sul suo volto un’espressione compiaciuta.
Un momento fermo ad attenderlo, poi gli balenò in testa una scena e assicuratosi che la porta d’ingresso fosse ben aperta, era sempre aperta, si fiondò a grandi salti sul terrazzo, sistemò la sedia reclinabile in direzione del sole e si sdraiò in attesa.
Il barone bussò e chiese permesso. “Avanti”, sospirò Marcolando con una voce teatralmente stanca e riposata, “sono in terrazza, venite pure”. Chiuse gli occhi e rilassò tutti i muscoli. Sentì il fruscio del pastrano del barone avvicinarsi, non mosse un dito. Qualche secondo in attesa: “Allora, avvocato…”, trovarlo in quella placida posizione indispose il barone. Ancor di più quando Marcolando gli rispose senza aprire gli occhi, con palese finta sorpresa: “Ah, è lei barone…”, e giù un sospiro. “Avvocato…”, il barone si pose avanti la sdraio, ombreggiandogli con la sua mole. “Barone…si sposti…mi fa ombra”.

“E’ proprio di questo che sono venuto a parlarle”.

Marcolando aprì gli occhi mettendo una mano sulla fronte, la sagoma del barone in controluce lo sovrastava: “In che senso?”

“Nel senso che dobbiamo risolvere questo problema”

“Quale problema, io non ho nessun problema”

“Ma ce l’ho io!”
Marcolando sbuffò, quello che doveva essere un accenno di riso, scuotendo in su la testa, per far intendere la sua completa indifferenza a questa faccenda.

“Avvocato”, il tono aveva la parvenza di una minaccia, “dobbiamo venire a capo di una soluzione".

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(gli offre molto denaro per abbattere la casupola, la vecchia e cadente dimora dei genitori, promettendogli una splendida villa alle porte del paese ma l’avvocato rifiuta (“quanto può valere il sole?”). La moglie di Marcolando litiga con lui. Il barone e l’avvocato sono sempre stati antagonisti, l’avvocato ha spesso difeso i contadini dai soprusi e le prepotenze del barone. Il più delle volte l’avvocato ha perso le cause perché il barone prezzolava i giudici giurati e testimoni. Ora per l’avvocato questa è una rivincita.
Dopo una serie di rocambolesche vicende con screzi anche infantili da entrambe le parti (per esempio, un giorno il barone conta i pochi secondi che il sole ci impiega per illuminare lo studio prima di calare, ma si accorge che l’oscurità arriva prima perché Marcolando si frappone e la sua ombra entra nello studio, provocando un attacco isterico al barone, non compreso dalla sua famiglia). Ma alla fine Marcolando viene messo alle strette. E’ costretto ad abbattere la casa per pagare gli infiniti debiti cadutigli improvvisamente, per recuperare la moglie che non intendendo il suo orgoglio, che lo sta portando alla rovina, lo lascia. Con la rabbia in corpo va a trovare il barone proprio nell’attimo in cui il sole per la prima volta, senza ostacoli sta entrando nello studio. Il barone è seduto alla scrivania con le mani appese al panciotto in agognante attesa di essere accarezzato dal raggio di sole. Zittisce con una mano l’ira fremente di Marcolando che quasi fosse al cospetto di un evento miracoloso, di un rito sacro si blocca anch’egli in attesa. Ma…nel momento in cui la luce colpisce il barone, questi ha un infarto, agonizza con gli occhi sbarrati. Sarà proprio Marcolando a salvargli la vita.)

Nota: la frase all’ inizio del racconto è virgolettata perché è l’arringa di Marcolando nella causa di difesa dell’architetto


martedì, ottobre 16

Intervista al nuovo WV.




-Per quale squadra tifa:
La mia squadra del cuore è la Roma, io tifo Juve e sempre forza Lazio!
-Che genere di film preferisce:
Guardi, sono molto appassionato del cinema francese per cui ogni volta che ho un po’ di tempo mi sparo un bel film di cazzotti di Bud e Terence.
-E la tv?
Non la guardo ma non manco mai una puntata di Dragon Bal. Per quanto non mi dispiaccia “balla con i famosi” al quale agogno un giorno partecipare. Però anche forum e porta a porta e casa casa me li faccio tutti.
-Nuovo. Cosa significa per lei questa parola?
Nuovo è il nuovo partito democratico, nuovo sono i nuovi leaders di questo partito democratico, nuovo sono io.
-A me non sembra che ci sia qualcuno nuovo. Sono sempre gli stessi. In che senso lei è nuovo?
Nel senso che uno a cinquanta anni e rotti non lo puoi chiamare vecchio. Quando avrò 90 anni mi potrà chiamare vecchio. Ma lei allora non ci sarà più, lei.
-Cosa ha fatto per Roma?
A Roma ho dato le feste, le sfilate di moda, gli inviti riservati; ho risolto il problema dei parcheggi per le auto blu, nel senso che nel centro cittadino ho vietato il parcheggio a tutti i comuni mortali, così c’è più disponibilità.
-E come fanno tutti gli altri?
Si attaccano al tram!
-Non crede di avere abusato troppo in sconsiderate opere edilizie i cui benefici pare siano riservati a pochi amici?
Senta se lei mi vuole far passare per classista si sbaglia di grosso, semmai è il contrario. Io sono a favore delle minoranze, quindi salvaguardo anche quei pochi, e poi io credo molto nell’amicizia.
-Con la ZTL il Comune di Roma multa tutti i poveri cristi che si trovano in difficoltà in una città transennata per beneficiare queste minoranze.
Ma lei, come vuole vedere lo scosciamento della Hunztiker o l’ingresso trionfale di Sofianona nostra alla Festa del Cinema? Gratisse?
-Cioè? Pagano i soliti poveri cristi dei cittadini?
È ovvio. È per loro che io faccio tutto ciò. Le Notti Bianche, le feste del Cinema, le sfilate a Trinità dei Monti, i musei della moda. E tutte la altre varie putt… fantastiche emozioni. Ragazzi, io ho tirato su un teatrino da niente...
-Non crede di aver esagerato nell’offrire alla moglie del capo dell’opposizione, un posto nella squadra del PD?
Il mio motto è: “volemose bene”, oh, io ci ho provato. Se me la dava me la prendevo, e che so’ scemo?
-Ma cosa dice?
Che ha capito? La fiducia, cosa se no? E pensi che mi sono tenuto, volevo farmi pure il marito, nel senso lato. Mi sarei proposto anche di andare con loro, se fosse stato necessario per il bene del partito, per una corretta opposizione contro di me.
-Quindi sarà lei a guidare lo schieramento del centro-sinistra alle prossime elezioni?
Lei lo dice, questa è la democrazia.
-Si augura che il governo cada presto?
No, per niente, mi auguro un passaggio di scettro senza spargimento di sangue.
-Cosa ricorderà con più piacere quando lascerà il Campidoglio.
Il giorno in cui mi arrivò l’invito di nozze di Tom e Katie.
-Dopo ‘i care’ avete già in mente il motto per la nuova coalizione?
Allora, le dirò, le cose buone non si cambiano, si correggono, solo piccole modifiche, poche lettere di variazione. Per non scontentare nessuno: ‘sti ca’.
-Sarebbe a dire?
Co' 'sti ca... che ce ne andiamo!

venerdì, ottobre 12

Mode e tendenze

Notare le scarpe, please





... e li chiamano creativi...
(e per un'altra cosa, avevo proprio ragione)

martedì, ottobre 9

mediation


Questo è un breve codicillo al precedente post per esautorare la curiosità di Stef. L'artista che ha dipinto "mediation" è Richter Gerhard, contemporaneo e in attività. Viene considerato il più importante pittore attualmente in circolazione e le sue opere sono tra le più richieste e le più costose. Che significa il quadro? Lui fa parte della corrente astratta, prima di dedicarsi completamente alla pittura e di prendere la decisa piega dell'astrattismo, era fotografo, lo è tutt'ora. Quindi un bel salto dalla rappresentazione del reale all'indefinito. Che significa il quadro?
Lui avrà certo un'idea, ma il fruitore può trovarne altre non meno valide che lo stesso creatore artistico potrebbe convalidare, i significati dell'opera si spostano in ogni direzione, questa è l'arte di oggi. Quando l'iniziatico Jackson Pollock schizzava stralunato, come un bambino, i colori su una tela enorme distesa a terra come un lenzuolo, non aveva certo ben chiaro il risultato che sarebbe scaturito dall'action painting. Le ragioni sono chiare. Se prima l'uomo tramite l'arte si limitava ad imitare la Natura esterna, oggi e cioè dalla fine dell'Ottocento, cerca di esternare la Natura interiore. Lo stato d'animo non ha contorni definiti, non si può rappresentare con l'arte tradizionale, quello che si può fare è ricreare uno stato d'animo, simile a quello provato dall'artista, attraverso una visione.

Alienson e il problema della negazione dell’arte

Si pose dinanzi al quadro. La sua volontà di decifrarlo non era pervasa dal senso critico. Era emotivamente passivo, interessato ad analizzarlo come materia. In maniera tale che avesse a che fare con qualcosa di amorfo, dall’origine sconosciuta, senza dar per scontato che si trattava di un quadro, colori ad olio su tela. Partiva da zero come se tutto quello che lo circondava fosse nuovo, come un alieno curioso e meravigliato. I colori perdevano di significato; la composizione, l’accostamento che portava alla rappresentazione era annullato. Erano solo sostanze, diverse sostanze impiastricciate su un supporto. La tela, un insieme di fili di origine vegetale composti e tirati su un telaio di legno, non aveva minor valore come oggetto in sé. Di conseguenza quell’intero gruppo di oggetti che veniva chiamato ‘quadro’ aveva egual peso delle singole parti. Avvicinando gli occhi a pochi centimetri le forme sparivano, i contorni si perdevano in vaghe fughe.

Cosa è? – domandò ad Alina che su suo consiglio osservava la tela ad un palmo.

– È un quadro! – rispose sicura.

– Ma tu che vedi? – insistette Alienson.

– Un quadro – replicò lei.

– È perché lo sai, però…se ti fossi messa vicino senza saperlo, come avresti capito? cosa avresti risposto?

– Un quadro! – ora Alina sembrava divertirsi nel dargli la stessa risposta.

– D’accordo, è un quadro…– si mise a meditare qualche attimo. Per dar peso alla sua dimostrazione doveva trovare un altro esempio.

Alina alternava lo sguardo tra lui e il quadro, non riusciva a capire la connessione che c’era tra il quadro e le sue considerazioni. Rideva e lo guardava come si può guardare uno che è in procinto di perdere il senno. Però lo conosceva e pazientemente attendeva che si spiegasse più chiaramente.

Alienson si allontanò e tornò con un altro quadro, voltato per non farglielo vedere.

– Chiudi gli occhi – Alina obbedì. Alienson le mise la tela a pochi centimetri dal viso.

– Che cosa è?

– È un quadro!

– E cosa rappresenta?

– Non lo so.

– Come fai allora a dire che è un quadro, se non sai neanche cosa vi è dipinto, se qualcosa vi è dipinto!?

– Comunque questo non è importante, so che è un quadro – Alina era decisa a non recedere.

– Scusa, Alina, mi vuoi dire cosa significa per te ‘quadro’?

– E…il quadro è una tavola di vario materiale con su dei colori o dei segni di vario materiale che vogliono esprimere qualcosa.

– E se non vogliono esprimere nulla?

– Dunque, in quel caso è un quadro che non vuole esprimere niente.

– Allora non è un quadro?!

– A parte che un quadro esprime sempre e comunque qualcosa…

– Però così ti contraddici…

– No, il quadro esprime sempre qualcosa.

– Se dessi tela e colori ad un bambino di tre anni e lo lasciassi impiastricciare, anzi, se li dessi ad uno scimpanzè, in quel caso tu come considereresti il risultato?

– Un quadro!

– Ah, un quadro? E cosa rappresenterebbe?

– Un quadro fatto da una scimmia, sarebbe anche interessante.

– Sì? Lo compreresti magari…

– E perché no? un accostamento casuale di colori e forme originali, uniche. Sì, lo comprerei!

– Ma dai, sarebbe un’accozzaglia di sostanze solide i cui colori identificherebbero solo le diversità materiche, perché tra essi non ci sarebbe alcuna relazione.

– Alina dette un colpo di approfondimento che meravigliò Alienson, perché contraddiceva se stessa senza farlo.

– Così tu hai descritto tutti i quadri. Però in più c’è l’idea e quella è dentro di noi. Tieni presente che il quadro non è solo ciò che rappresenta il pittore ma anche ciò che vede l’osservatore, un significato che può anche non coincidere con quello dell’artista.

A quel punto Alienson si adagiò sulla nuova piega del discorso – Basta che sia opera di un uomo…

– Basta che sia arte! – precisò Alina.

– L’arte è l’idea, se non c’è l’idea la chiameremo arte?

– No, questo no altrimenti sarebbe tutto arte.

– Ora non è che voglia tornare indietro, però mi permetto di dirti che il quadro della scimmia non è arte.

– Sì, non lo è, però chi lo può dire…

– Alina forse confondi, l’arte è opera dell’uomo e basta.

– Non nego questo. Dico che se lo mettessimo in una mostra e dicessimo che è stato fatto da un artista, stai sicuro che qualcuno vi vedrebbe qualcosa o perlomeno avrebbe una sensazione.

– Sì, però non è arte, perché anche guardando un’alba si ha una sensazione.

Alina annuì.

– Allora convieni che un quadro può non essere un quadro ma solo un accostamento materico?

– Sì, sempre che non sia l’uomo il deus ex machina.

A quel punto Alina si diede pienamente ragione ed Alienson ne fu consapevole perché non era pensabile un quadro non fatto o non voluto da un uomo. In quel caso anche il quadro della scimmia è un’espressione artistica, poiché l’uomo ponendole il quadro tra le mani compie un’azione che è un gesto creativo e artistico nei limiti della consapevolezza di un vero artista: un’operazione alla quale dà un significato. Ciò che esce dal lavoro della scimmia non è altro che l’idea che esce dall’uomo. Il quadro della scimmia rappresenta qualcosa, nella cifra che le ha dato l’uomo. È il caos, l’indeterminazione ancestrale, la confusione, la perdita della razionalità, il regresso, l’inquietudine dentro di noi e la consapevolezza che se la scimmia non avesse un’anima neanche l’uomo l’avrebbe. La scimmia dunque sarebbe uno strumento dell’artista la cui sola idea di fare ciò si annovera nell’idea artistica.

sabato, ottobre 6

In un giorno di pioggia



Il chitarrista dei Modena City Ramblers, Luca 'Gabibbo' Giacometti, 44 anni, e' morto in un incidente stradale avvenuto sull'A1. Genovese di nascita ma residente da sempre a Correggio, Giacometti viaggiava da solo alla guida della sua auto che e' finita contro il guard-rail.

mercoledì, ottobre 3

Disegno


Dio creatore, schizzato su di una pagina di computisteria, intorno ai 16/17 anni d'età. Stavo in piena ricerca michelangiolesca. Un Dio potente nell'atto di dividere la luce dalle tenebre. Poi, intorno ai venti anni ho smesso di disegnare.
Non si può essere troppe cose nella vita. La società ammette solo una cosa, devi essere uno identificato. Cosa fai nella vita? sono ecco sono uno solo uno, non anche ed anche ed anche ecc. Solo una cosa è consentita. E se vuoi essere anche ed anche ed anche ti diranno alla fine: "Sì, ma cosa sei?" Se dici troppo non sei nulla.
Or dunque nulla. Il Nulla è il tutto.
Dio è Tutto e Nulla.

lunedì, ottobre 1

La teoria del tiramisù


L’opera completa di K era sul bancone. “Ne approfitti ora, scelga tra i titoli in catalogo, la promozione è per poco”. Baudret scivolò il dito sull’elenco. Lo fece per rispettosa cerimonia ma sapeva che non avrebbe preso altro. Di K aveva già molto ma stanco di spulciare nelle librerie, con il ce l’ho e non ce l’ho, aveva deciso di comprare un’edizione unica e integrale. I volumi gli furono messi in un sacchetto di resistente carta riciclata.

Ritornato a casa, soddisfatto pensò che probabilmente non sarebbe mai riuscito a leggerli tutti. Eppure eccoli, pronti ad occupare un posticino nella già straboccante libreria.
La sera venne a trovarlo Walter Pen, portava un dolce. Si dilettava in cucina e Baudret era la sua cavia. “Buono, con cosa l’hai fatto?”
“Con i savoiardi e il caffé”
“I savoiardi li hai fatti tu?”
“No, i savoiardi si comprano”
Baudret deglutì il boccone e mise mano ad un’altra porzione: “Allora è incompleto”.
“Incompleto? Ho messo tutti gli ingredienti”
“No, è incompleto il tuo apporto”
Walter scosse la testa.
“Tu dovevi fare anche i savoiardi”
“Cosa? Ma perché? È venuto così bene”
“Un cuoco deve fare tutto da principio”
“Non mi convince. I savoiardi sono come gli altri ingredienti ed io me li sono procurati allo stesso modo, ovvero comprandoli”
Baudret non era d’accordo. Walter continuò: “E poi, che ragionamento… se li facevo dovevo usare la farina. E la farina chi la produceva, anch’io?”
“Allora, come dici tu, perché non te lo sei comprato bello e fatto?”
“Perché così ho fatto una cosa genuina”
“E i savoiardi, sono genuini?”
“Ma se facevo i savoiardi perdevo sulla spesa e il tempo, non mi conveniva più”
“Allora hai fatto una cosa di mezzo. Mezzo genuino e mezzo risparmio!”
“Oggi per vivere bisogna giungere a dei compromessi”
“È come il crème caramel o il panettone farcito, o la gelatina. Si comprano già pronti e si devono solo decorare o riempire; ma il vero cuoco fa tutto da sé”
“Siccome io non sono un cuoco… e te lo stai divorando”
“Non dico che non è buono, anzi, ma non riesco a farti i complimenti”
“Se avessi fatto da me l’impasto forse non sarebbe venuto così gustoso e tu mi avresti criticato lo stesso. Non conosci le vie di mezzo? O uno è un grande cuoco o se ne va al ristorante, o compra le pietanze già fatte? così nessuno cucinerebbe più”
“Non è così, ognuno, se vuole far qualcosa ci deve mettere un po’ d’arte. Chiunque sa fare il tiramisù come te, anch’io, basta che tu mi dia la ricetta”
“E io non te la do!”
“Che sciocco che sei, non la voglio, non ho alcuna intenzione di cimentarmi col tiramisù”
“Già! Perché temi di fare una brutta figura. Invece te la do, voglio proprio vedere che combini”
“Non darmi niente, le cose le compro già fatte. Mi rifiuto categoricamente di mettere nei miei impegni anche la cucina, già ne ho poco di tempo…”
“Allora, dici che chiunque si diletti in cucina è un perdigiorno?”