venerdì, dicembre 6

Per tedio, per sonno e per inganno

cont da prologo
Non è che sia così difficile, basta starci dentro, nel ruvido gioco dell'esistenza. È l'assuefazione al dolore che rende più semplice andare oltre l'ostacolo, sempre più avanti sino a quando l'ostacolo diventa troppo alto anche per te e devi fermarti, in modo definitivo; nessun rimpianto e nessuna angoscia perché nel frattempo ti sei abituato all'idea della fine, dell'abbandono, del nulla. Il sempiterno Nulla, onnipresente, grande sudario trasparente sulle sorti umane, di tutti gli animali ed anche delle cose, nella loro temporanea intereazione. Oggetti vivi ed inanimati, insieme di molecole ed atomi assemblati per un tempo limitato, il segreto della fine è la loro disgregazione, che si chiami morte o equilibrio fisico, fa lo stesso. Fine, finish, the end, in tutte le lingue non cambia. Allora? Basta non fossilizzarsi, anche se i fossili hanno trovato un equilibrio perenne, ma non è la nostra
aspirazione. Desiderio di volare, staccarsi dal suolo, per pigrizia più che altro, muoversi da un luogo ad un altro senza sforzo, sorvolare la terra e scoprire, conoscere, ammirare e meravigliarsi della bellezza del nostro pianeta. Semplicemente vivendo senza ansie, respirando profondamente e pensare che gli spiccioli problemi, l'uomo se li cerca e li crea agli altri per essere troppo attaccato alla propria vita, con il proprio egoismo. Questa massa indistinta di fameliche iene  mondiali è la causa della fame degli altri.
Questi esseri, che razziano treni interi di valori mondiali, distribuiscono la loro colpevolezza alla massa, facendo pesare su di loro, su di me, su tutti i sensi di colpa dell'Occidente evoluto.  Invece l'unica colpa, che noi semplici abitanti delle regioni del secondo mondo, possiamo avere, è la nostra potenziale frivolezza. Qui, lì su giù, tanto per tanto, scarpe pantaloni maglia camicia giacca e anche cravatta, questo obsoletto laccetto rinascimentale, che si usava prima dell'invenzione dei bottoni. Concediamolcelo puro, come intervallo dei  nostri lunghi pensieri. Mai farsi distrarre dalle vacuità di cui siamo circondati, la realtà è altrove, dove è la vera angoscia, gli occhi spenti della rassegnazione, terra arida. Meglio volare, verso regni lontani non abitati dagli uomini, ma da algtre simili animali, evoluti, mutanti di pensieri. Leggeri nel ragionare, saggi senza scelta. Accontentarsi è il segreto, 'che già la vita che abbiamo è un gran dono, ed i nostri occhi e la nostra mente.

Cosa voleva vedere, cosa voleva fare, lo doveva per forza? Non poteva semplicemente vivere, senza abusi e usi indiscriminati della libertà di essere? Era quello che voleva.  Una cicala o una formica? Meglio un grillo, il destino si consuma come una fiamma per tutti. C' è chi accumula come se dovesse campare mille anni, chi sperpera tutto in un giorno, chi mangia come un bufalo senza essere un bufalo e chi mangia come una tedisa ed il corpo piange. Si può filosofare di leggerezza con un buco nello stomaco? no. Con la pancia sazia sarebbe eticamente accettabile? Allora non avrebbe senso nulla, il buio totale, il Nulla che invade le pagine scritte, queste... Cosa c'è da ridere con i morti alle spalle? E qui entra in scena l'egoismo della vita, senza questo ingrediente avremmo poco da fare; gli animali ce lo insegnano, la vita prevale sulla morte. Guardano smarriti per qualche minuto, poi vanno avanti. Eppure c'è un'altra forma di ostilità che va oltre il dolore o la dimenticanza volontaria, è la non accettazione scientifica. Si accetta per impotenza ma si combatte. Solo così è consentito il lusso della leggerezza.
 Nella sua pagina bianca Emme Cappa, non sapeva proprio che mettere. Si era trovato la scusa della penna, che non scriveva. Alla sua compagna aveva detto che ci voleva una penna adatta, per non seccarsi nell'attesa, in tutti i sensi. Allora era andato in cartoleria e si era messo a cercare, una di quelle penne simil graphos che scrivono come le stilografiche, con uno stiletto finale ed un microforo. Se la rigirava tra le mani soddisfatto, bella, ah proprio bella ed efficiente. E vai!
Quanta attenzione, troppa, il giorno dopo la penna cade a piombo, verticale, manco dovesse tirare il filo alla scrivania. Punta spezzata. Si ricordò di quando, per la stessa premura, da ragazzo liceale, si portò al cesso il quadernetto dei dettati di religione, da presentare il giorno dopo . Il professore di teologia, non prete ma cattolico e falsamente distaccato, perché i dettati erano tutti sui Vangeli e la Bibbia Cristiana, aveva avvisato gli allievi che il voto si sarebbe basato sulla pulizia del quaderno e la continuità dei dettati. Lui, che di dettati non ne aveva persi neanche uno, ci teneva a che gli fossero riconosciuti i meriti di tanta solerzia. Il quaderno finì in un secchio di acqua. Prima provò ad asciugarlo con il phon, uscì un'unica grinza con l'inchiostro che piangeva. Si mise alla ricerca di un quaderno usacchiato, che potesse palesarsi come un falso originale, tolse le pagine fuori tema. Ne uscì uno spessore a torzo senza pagine. Poi si mise a scrivere furiosamente, cambiando penna ad ogni dettato ed anche un po' la mano. Il giorno dopo, il professore, che aveva già avvisato che nessuno lo poetva far fesso e che su la revisione dei quaderni era peggio di un esperto di quadri d'autore, appena si ritrovò il quadernetto tra le mani, lo sventagliò con sufficienza, scuotendo la testa. lo sfogliò come un mazzo di carte, con una espressione ironica. Lui che  diceva sempre la verità, gli spiegò i motivi del fatto. Non lo credette, doveva avere la faccia di chi prende per il culo. Mai avere troppa premura sulle cose, meglio usarle come si fa comunemente. È come quando si cammina su un asse, se sta a terra non si esce; ma se sta sospeso si perde l'equilibrio, per l'emozione o per l'eccessiva concentrazione di pensare dove ci si trova.
Doveva scrivere qualcosa di non banalmente solito come una storia di amore, un giallo all'americana, una cronaca giornalistica, un racconto contemporaneo infarcito di parolacce o peggio ancora una serie di sfumature erotiche per solleticare la curiosità del lettore. Ma come iniziare?

La chiesa era veramente grande, enorme. Staccata dal grande centro, quasi isolata in mezzo alla comunità, si preannunciava con un notevole gruppo statuario di un angelo che colpisce un drago, insolito nella sua realizzazione, molto poco europeo. Vi era capitato per caso, durante la ricerca di un posto per mangiare, non se l'aspettava. Per la lunghezza della navata, le sedute iniziavano a decine di metri dall'ingresso, la chiesa però era quasi deserta. Un tre quattro turisti , una piccola famigliola, qualcuno colpì la sua attenzione, in una delle cappelle laterali al coro, era inginocchiata ed assorta una giovane donna ben vestita. Dunque c'era ancora chi della nuova generazione  pregava. Non era asiatica, latino-americana o nera, si trattava di una caucasica, termine abbastanza privo di scientificità per identificare una bianca occidentale. Nella percentuale di fedeli quella era la più bassa, ma lui non sapeva che quella donna non era neanche americana, era di nazionalità tedesca di un piccolo pasino della Germania del Nord, Tönisberg, e la percentuale diminuiva ancora di più.
A questo punto E K staccò la penna dal foglio, aveva scritto qualcosa di  estremo, poco credibile,  una donna tedesca che pregava in una chiesa americana. Già era difficile immaginare una tedesca praticante, forse cattolica perché per motivi territoriali non poteva essere anglicana ed essendo in una chiesa anglicana ancor meno protestante, con un papa dismesso, per di più di un paesino del Nord, e che poi si mette ferventemente in ginocchio in una cattedrale straniera  semideserta. Troppo anche per la fantasia.
Per rendere accettabile la cuspide di fede, in questo tramonto di religione, E K si mise a scandagliare la vita della donna per trovarne una ragione. In una normale vita quotidiana, l'attenzione dura il tempo di uno sguardo. Per quell' occasione,  che meritava il ricordo fissato con la scrittura, qualcosa in più di uno sguardo era accaduto. La donna era un vigile del fuoco, reparto immersioni. Lui non poteva saperlo, neanche deducendolo da uno stemma sulla giacca, nenche se  glielo avesse detto lei direttamente, in tedesco.  Controllò l'ora, doveva andare. Appena scese le scale si girò per guardare un'ultima volta la maestosa facciata, fu l'ultima volta di tutto. Un crampo all'altezza del petto, seguito da una fitta estrema, si accasciò e lì concluse la sua vita.
La donna uscì quando  l'autoambulanza si allontanava e il capannello di persone  accorse si era appena sgranato. Diede un'occhiata senza fermarsi, attraversò la strada.
M K si era risparmiato di trovare un motivo di come lui, che non era lui,  potesse venire a conoscenza delle notizie sulla donna, la morte aveva eliminato parte dello snodo. Rimaneva da risolvere l'origine della fede.
Silke era già grandicella quando il nonno si mise a dipanarle i ricordi della guerra, i suoi racconti nudi e crudi. C'erano tre parole che ricorrevano e che facevano storcere il naso del padre di Silke e della madre, sua figlia: sangue merda sperma. Una poltiglia di morte e vita, di dolore e , di paura ed estasi. I soldati al fronte trovavano quello che trovavano e si cercava di esorcizzare la morte, con ogni mezzo e modo, anche con gesti esecrabili perché in guerra tutto sembrava  consentito e fuori controllo.  Una volta il nonno raccontò un episodio veramente sconvolgente che si fissò come un solco vivo nella mente di Silke. Durante l'avanzata russa venne occupato un paesino di contadini, gente umile che neanche sapeva cosa accadeva e chi comandava. Venne dato l'ordine di riunire quelle poche anime e chiuderle nella chiesa del villaggio. Il nonno capì quello che si poteva fare quando la civiltà era lontana e dimenticata, i suoi commilitoni avevano perso ogni rispetto della vita, ogni freno; li vide e ammise che neanche lui in quei momenti si rendeva conto di quanto si fossero spinti oltre, fare  certe cose col consenso di tutti diveniva normale; Silke paragonò quei comportamenti agli atti del branco.
Le donne violentate e squartate, i neonati usati per giochi infernali, a chi li lanciava più lontano, in aria  e sbattuti al muro. Infine la chiesa fu incendiata. Per Silke ogni chiesa rappresentava la tragedia di quelle vittime e di tutta la gente che continuava a soccombere per il nulla, per la colpa degli altri, di ambiziosi squilibrati che hanno il comando di nazioni. "Nonno, se le guerre sono brutte, perché le fanno?" "Ricordati, piccola Silke, le guerre sono iniziate sempre dai pazzi!" Prendeva un vecchio disco e lo piazzava sul rabecciato macinino d'anteguerra, attaccava Glenn Miller, la sua passione. Era da lui che Silke aveva preso la passione per l'America. "Sai, Silke, serve a farmi riposare la memoria".
Silke quando si trovava in missione, capitava che dovesse tuffarsi in pieno inverno nelle acque gelide di uno deglii innumerevoli laghi della zona o nell'impetuoso fiume Rhein, alla ricerca di corpi dispersi. Non aveva paura di nulla, si metteva sempre in prima linea, quasi cercasse un limite di vita che le spalancasse le porte del mistero. Sotto lo spesso strato di ghiaccio, collegata solo da una esile corda al foro di uscita, si inoltrava nelle profondità resistendo alle correnti; con la torcetta illuminava il fondale melmoso e caotico. Quando risaliva, il comandante la guardava preoccupato: "Cazzo, Silke! Non devi rimanere sotto, così a lungo".

La pioggia sottile assorbiva i rumori, cadeva lenta, leggera al vento e fragile al freddo. A passo veloce si diresse verso casa. La verità di solito è più vicina di quanto si immagini.
Silke si era trovata un alloggio in un monotono comprensorio, triste alla sua vista, per quanto triste
possa essere una definizione piuttosto personale. A tal proposito suo fratello, quello che aveva figliato anche per lei, 4 nipoti che assicuravano la continuazione della specie, aveva una filosofia di pensiero molto chiara: se uno sta in compagnia di una vertiginosa modella consenziente ad libitum, si trova in Paradiso anche abitando nella più lurida fogna di Calcutta. Però lei era femmina, forse doveva avere qualcosa in più di un accoppiamento. Invece no, era anche peggio. Lei era di una natura selvaggia, istintiva. Solo per un breve periodo aveva avuto il suo periodo rosa,  alle scuole elementari. Poi incominciò a vedere blu, blu oltremare, blu profondo, sino a diventare una donna blu-notte. Dunque se si fosse ritrovata in una fogna dopo aver soddisfatto l'istinto primario con un fascinoso e irresistibile attore palestrato, le sarebbe rimasta solo la puzza della fogna. Silke non si innamorava. 

cont.


1 commento:

cooksappe ha detto...

Silke! <3