domenica, giugno 3

Interdetto è dinanzi a qualcosa che non conosce

Una ragazza scende di corsa le scale del Pallonetto. Ha un’espressione tesa, sospesa. Si trascina un velo bianco, lo perde, non se ne degna. Arriva davanti una porta, batte forte: “Aprite, aprite…”, le parole le si strozzano in gola. Continua la scesa, giunta in prossimità del molo, vede un capannello di persone, si ferma, trattiene il respiro. I più esterni la notano, fanno cenno agli altri. Lentamente si aprono, scoprono pietosamente il corpo del promesso sposo. Un urlo straziante squarcia l’aria, la ragazza si precipita verso l’ amato. Urla il suo nome, urla, urla. Queste grida attirano l’attenzione di altre persone ignare; qualcuno che consumava l’ultimo sonno della mattina, si desta di colpo, si affaccia: “che è stato? Che è stato?” Il garzone del fruttaiolo coglie la domanda: “È morto Nando, il pescatore, a mare”. La ragazza inginocchiata tiene stretto il corpo del giovane, si dondola accompagnandosi con un pianto dirotto e poi sommesso, come una cantilena. La gente si è stretta di nuovo, sono parenti, amici. C’è la madre, che affranta si sostiene tra le braccia del marito, tirato, muto. C’è la sorella di lui che non è riuscita a tenere il figlioletto fuori dalla calca funebre. Spinge con la sua testa da topino, si insinua tra i fianchi muliebri delle donne del popolo ed a cospetto con la morte si ferma, interdetto è dinanzi a qualcosa che non conosce; i grandi occhi neri scrutano lo zio, per la prima volta vedono l’immobilità della morte, lo zio che scherzava con lui, così sicuro, così adulto, così forte. Per la prima volta il bambino capisce quanto invece l’uomo sia debole e quanto sia poco affidabile, forse anche suo padre. Ecco perché ora volge lo sguardo proprio a lui e questo, accortosene, abbassa il capo, come se si vergognasse di essere stato scoperto, così fragile, indifeso, così mortale.
Ognuno ha un ricordo di quel giovane, ripercorre con la mente un’azione, un gesto, un sorriso, delle parole. Le immagini della memoria si cristallizzano e si ripetono in continuazione come un disco incantato. Il saluto del pescatore al panettiere, le battute con gli amici; la madre ricorda il bacio della notte antecedente l’alba, l’ultimo bacio, prima di andare a mare. Il padre sente addosso una gran colpa e non se ne dà pace.
I compagni stanno poco distanti, appoggiati alle barche del loro lavoro, della loro vita. Qualcuno è ancora bagnato, forse è stato tra quelli che lo hanno recuperato, che avevano sperato di salvarlo; sono stanchi, stravolti. Avevano iniziato fiduciosi la giornata e non pensavano di finirla così. Perché.

3 commenti:

Kaishe ha detto...

Buongiorno Fabio...
I tuoi racconti mi prendono sempre alla sprovvista e devo leggerli e rileggerli...
Allora torno...

Anonimo ha detto...

buongiorno kara kai

Anonimo ha detto...

Non si può dire che non sai spaziare da un genere all'altro. Mi è piaciuto molto.