lunedì, luglio 12

La triste vicenda di monsignor Mascambruno

"Finalmente i giudici pronunciarono contro di lui la sentenza capitale conforme, che meritavano i delitti commessi. Che fosse menato per le strade più frequenti di Roma, e che avanti al Palazzo della Dataria gli fosse tagliata la mano destra, e poi menato in Campo de Fiori fosse quivi strozzato dal Carnefice, ovvero gli fosse data la mazzola in testa, e poi fosse appiccato per un piede, e finalmente il suo corpo fosse abbruciato, e le ceneri gettate nel Tevere."
Che aveva fatto di tanto grave monsignor Mascambruno, da meritare una condanna così crudele, da quel benedetto tribunale pontificio, che sottostava all'ispirato messo di Cristo in Terra, sua Santità Papa Innocenzo X, nell'Anno del Signore 1652?
Si potrebbe ipotizzare un delitto efferato, pluriomicidio, mangiatore di bambini, affogatore di neonati, al più aver fatto prigioniere le novizie di un Convento e spulzellate ad una ad una. E vabbe' ci stava pure... e invece niente di tutto ciò. Il volere del Papa è il volere di Dio e così sia; a quell'epoca, il Padreterno, non ispirava molto i suoi ambasciatori, faceva crepare gli uomini per molto meno. Uno che è eterno... che ha la resposabilità di un intero Universo... mah... si sofferma su certe effimere questioni... E pensare che oggi i delitti di Mascambruno sono dalla Chiesa ben accetti, ed è anche ben lieta di allearsi con persone che li praticano come prassi comune, ogni tempo ha un suo Dio, incontro alle esigenze degli uomini di potere. Ma andiamo con ordine...

Il pazientissimo Giacinto Gigli, riportava nel suo diario tutto quello che era degno di nota, non tanto della sua vita, ma della storia della città. Ed a lui che lasciamo il racconto che sicuramente è testimoniato dai fascicoli del Processo conservati nell’Archivio Vaticano.

"“Questo fu di bassa condizione, dalla Marca, e si chiamava Francesco Canonici, il quale fu sollecitatore di un certo avvocato di Casa Mascambruni, e lo servì con tanta diligenza, che morendo, gli lasciò tutta la sua Libreria, e egli seguitando la professione di Procuratore, lasciato il suo Cognome de Canonici, si prese il Cognome di Mascambruno, et delle prime cose proseguì una certa causa di Casa Pamphili, e la terminò con tanta felicità, che si acquistò la grazia del Cardinal Pamphili in tal modo, che fatto Papa lo fece Sotto Datario, e perché il Datario, che era Monsig. Cecchini era stato fatto Cardinale, Mascambruno era quello, che andava all’Audienza del Papa, e faceva segnare le suppliche della Dataria, e seppe così bene insinuarsi nella grazia del Papa, e di tutti i suoi, che gli volevano grandissimo bene, e gli furono confidati grandi segreti. Fu fatto Prelato, e ebbe una buona Abbazia, e fu fatto Canonico di S. Maria Maggiore, e poi di S. Pietro, e ebbe diverse altre pensioni e benefici.

Con questa autorità, e comodità che aveva, incominciò quest’uomo ad accumulare molti denari, e per denari faceva servizio a molte persone, facendo segnar dal Papa (il quale fidandosi di lui, non leggeva, se non il titolo delle Scritture) suppliche indegne, e dispense illecite, e quando era concesso ad alcuno qualche beneficio egli a suo beneplacito v’imponeva la pensione per se stesso, dicendo che così il Papa gli aveva ordinato. Queste cose fece egli, ma con maggior libertà, poiché era molto potente appresso al papa. Ma essendo stato creato il novo Cardinal Pamphili, il quale come Nipote del papa, e cardinal Padrone, voleva alle volte far conseguire dei benefici e pensioni alli suoi favoriti, e perciò non solo faceva i rescritti nei memoriali, ma anche talora per maggior caldezza, vi mandava il Marchese Astalli suo fratello in suo nome a parlare a Mascambruno. Gli cominciò a dispiacere questa cosa grandemente, e cominciò a pensare come potesse levarselo davanti, e disse al Papa, che il March.e Astalli ogni giorno lo importunava per ottenere pensioni e benefici e cominciò a persuadere il Papa, che lo facesse partire di Roma, e anche con qualche occasione mandasse fuori il Cardinale stesso. E già il Papa aveva cominciato a dire al Cardinale che il March.e suo Fratello, tutto il giorno andava a dar fastidio al sotto datario con nuove suppliche, e che era bene che si partisse di Roma, e andasse a stare nel suo Marchesato. E di ciò si era sparsa la voce per tutta Roma, che il Papa voleva cacciar di Roma tuti i parenti del Cardinale. Il Cardinale vedendosi così perseguitato, si risolse di manifestare al Papa un eccesso gravissimo, che aveva commesso il Sotto Datario; e la prima volta, che ritornò all’Audienza e che il Papa gli tornò a dire il medesimo, egli rispose, che suo fratello non portava al Sotto Datario se non suppliche meritevoli, ma che Sua Santità avvertisse bene, perché Mascambruno gli faceva segnar suppliche indegnissime, e ciò dicendo si cavò di petto un memoriale, nel quale si conteneva il caso seguente.

In Portogallo un certo Sig.re avendo fatto vestire da fanciulla un ragazzo, l’aveva sposato con le solennità del Matrimonio per mano di un Parrocchiano, ed essendosi scoperta tal cosa, erano stati carcerati tutti tre dai Giudici della Sacra Inquisizione. Ad istanza di questi tali, Monsig. Mascambruno Sotto Datario, fece segnar dal Papa una supplica, nella quale si faceva grazia, che la loro Causa non fosse giudicata dai Giudici della Sagra Inquisizione, ma che fosse rimessa ad un certo Vescovo parente di d.o Sig.re.
Avendo il Papa inteso tal cosa gli dispiacque grandemente, e essendosi certificato, che ciò era la verità, disse a Mascambruno, che lui era stato tradito, e parlò con molto risentimento. Si dice, cha la supplica fu scritta con un titolo falso, che nella sommità del foglio diceva: Dispensa Matrimoniale, e poi che fu segnata dal papa, con le forbici fu tagliata una striscia dove era quel tutolo falso, e vi fu scritto il titolo vero. Il Papa la segnò senza leggerla, credendo secondo il titolo che fosse dispensa lecita e consueta.
Mascambruno ne riportò un donativo di quaranta mila scudi, e vedendo che il Papa ne stava alterato. E temendo che, se lo Spedizioniere che aveva scritta quella Supplica fosse stato preso, potesse nocere a lui (era questi un tal Brogliardelli Genovese, che abitava appresso la Chiesa Nova) se ne andò alle cinque ora di notte a trovarlo a casa e gli portò cinque mila scudi, e gli disse che subito se la cogliesse di Roma. Così lo spedizioniere se ne fuggì, lasciando la moglie con li altri, li quali non molti da poi furono tutti presi e menati in prigione. Furono presi anche molti altri spedizionieri e altri uomini e donne, e ogni giorno se ne menavano carcerati tanti, che si diceva che erano più di cento persone.
Mascambruno ebbe molta comodità di poter fuggire, ma confidando forse troppo di se stesso, o sperando nella benevolenza e grazia del Papa, non seppe farlo, onde fu preso come ho detto il dì 22 di gennaro nel Palazzo della Dataria, e quando gli comparve avanti il Bargello, e gli disse che doveva menarlo nella Carcere, egli voleva in ogni modo andare in abito di prelato, ma non gli fu concesso, e fu menato in carrozza vestito con sottana e mantello come un prete ordinario. E poi che si seppe la sua carcerazione, vennero a Roma li parenti del già morto avvocato Mascambruno, e dissero che non essendo costui del loro sangue, non era conveniente che dovesse apportare infamia alla lor famiglia e però fecero istanza che dovesse nominarsi Francesco Canonici, e non con il cognome di Mascambruno da lui usurpato, e così fu fatto. Vennero poi molte querele di coloro che erano stai aggravati da costui e furono manifestati molti casi nei quali aveva ingannato il Pontefice, facendogli segnare suppliche illecite, e di matrimoni sino tra fratelli e sorelle e altri molti tutti gravi.

Lo spedizioniere genovese, che era fuggito, e non si sapeva dove fosse andato, scrisse una lettera ad un suo amico pregandolo, che gli fosse raccomandata la moglie. Quel tale portò subito la lettera va Monsig. Governatore, e così essendosi saputo, che stava in Genova, mandarono a pregare i Genovesi, che glielo dessero in mano, il che essi non volsero fare.
La prima volta che Mascambruno fu menato avanti al Fiscale per essere essaminato, fece instanza di una delle due cose, o che vi fussero presenti due testimoni, li quali sottoscrivessero a quello che lui aveva deposto, o vero che egli stesso voleva sottoscrivere la sua deposizione, et così fu fatto sempre, che dopo che il Notario haveva scritto le sue risposte, egli le rivedeva, et poi sottoscriveva di sua mano, et lineava tutta la margine della carta acciò che niuno vi potesse aggiungere cosa alcuna, et si mostrò nelle sue risposte tanto accorto, cauto et scaltrito, che faceva stare il Giudice a segno, et vedendosi che il fiscale era insufficiente ad esaminarlo fu levato di offitio, et fatto un altro in suo loco, et quello perché pareva che gli andasse con rispetto, et lo favorisse, gli fu dato un altro Giudice per compagno, il quale fu anch’egli deposto dall’offitio, et cominciò ad esaminarlo Monsig. Governatore istesso, al quale furno aggiunti quattro altri Giudici, dalli quali era rigorosamente essaminato ogni giorno, et durava l’essame gran pezzo, sino a sette, et otto hora continue, et egli stava sempre avvertito nelle sue risposte, che non si lasciava convincere, et essendo interrogato, perché haveva fatto segnare (per esempio) la tal supplica? Rispondeva, che lui non haveva fatto cosa alcuna senza mostrarla prima a Sua Santità, overo rispondeva, domandatene alla Sig.ra D. Olimpia, che vi dirà il perché. Altre volte rispondeva, che lo domandassero al Principe D. Camillo o al Principe Giustiniano, o al Principe Ludovisio, e così non negava di haver fatto quella cosa, ma ne attribuiva la colpa a questi Signori, che potevano commandarli. Un'altra volta domandato perché haveva fatto la tal cosa? Rispose, io non posso dirlo a voi, menatemi avanti al Papa, che ve lo dirò. Con questi modi pareva a lui di non potere essere convinto, et non hebbe altra maggior cosa contro, se non che gli fu menata in faccia la moglie di quello Spedizioniere Genovese, la quale gli disse, che lui di notte era stato a casa sua a trovar suo marito, et gli haveva portato cinque mila scudi, e dettogli, che se ne fuggisse via di Roma. Queste cose, et questo essame si continuava per molti giorni et mesi, nel quale tempo non vi fu inditio di poterli dare alcun tormento come si consuma con i delinquenti carcerati; ma ne anco si arrendeva per i patimenti et strapazzi di una lunga prigionia, poiché stava in secreta, solo, con i ceppi a piedi, mangiava pochissimo, e per forza, non si spogliava, e poi gli aggiunsero le manette alle mani, perché dicevano che si era voluto strozzare da se stesso, et nell’essame stava tante hore in piedi col capo scoperto che era un gran patire, massime in un homo avvezzo a molte commodità.

Fra tanto Monsig. Mascambruno carcerato stava ancora in Segreta et si era ammalato, et per li patimenti era molto trasformato. Con tutto ciò non si arrese mai, ma con l’istesso animo, stava forte, cauto, et avvertito, come haveva fatto sino da principio, a non dir cosa, che li potesse esser di danno. Et essenso interrogato perché aveva fatto segnare alcune suppliche indegne, rispondeva che il Papa prima di segnarle le aveva viste, ovvero diceva, che ne domandassero la causa alli parenti del Papa. Per la qual cosa molti dicevano, che costui sarebbe stato liberato. Altri dicevano che essendo stato quest’uomo confidentissimo del Papa, et domestichissimo dei suoi parenti, et partecipe di gran segreti, bisognava che in ogni modo morisse, perché se rimaneva in vita, essendo stato disgustato, poteva dopo la morte del Papa nocer grandemente alli suoi parenti.
Hora perché chiaramente appariva per più di 30 suppliche, che erano state segnate per mezzo suo degne di severo castigo, onde il Papa diceva di esser stato tradito; ancorché egli non havesse mai confessato di haverle fatte per se stesso, ma per ordine et volontà di chi li poteva comandare; non di meno tutti li Giudici lo dechiarorno degno di morte, conformandosi con molti esempi di casi simili altre volte eseguiti in tempo di Papa Leone Decimo, et altri. Il Papa però volendo che il tutto passasse con ogni equità et raggione, commandò a doi avvocati li quali furono il Boncompagni et il Pasqualone, che lo difendessero. Questi, havendo visto e diligentemente studiato il Processo, il quale era di undici mila fogli, non trovarono cosa per la quale costui meritasse di perdere la vita, ne meno la robba. Laonde in una lunghissima congregazione, che durò otto hora avanti li giudici di questa causa, l’avvocato Boncompagni fece un lungo raggionamneto et disse che la Santità del Papa gli haveva commandato che pigliasse sopra di se la difesa di questa causa e che egli sebbene era povero gentiluomo, haverebbe volentieri pagato 500 scudi del suo per essere libero da un tal peso. Che se egli voleva por mente alla voce del popolo, et al grido universale, facilmente concorrerebbe con gli altri a dire che Mascambruno meritava la morte. Ma che si come coloro li quali per poter scoprire alcuna cosa lontanissima o piccolissima, si servono dell’occhialone il più perfetto, che si possa trovare, così egli poteva dir veramente di haver adoprato l’occhialone, avendo con ogni esquisita diligenza, et attenzione sottilissimamente osservato et considerato tutto il lunghissimo processo, et con tutto ciò non haveva scoperto alcuna cosa, o causa di morte, ne di confiscatione di beni, ma solamente al più di qualche altra pena molto minore, et che di questa sua diligenza et verità egli ne chiamava in testimonio Iddio. Si dice che mentre l’avvocato queste et altre simili parole proferiva, tutti li Giudici si cambiorno di colore in faccia, et Monsig. Farnese Governatore di Roma gli disse, Sig. Boncompagni V.S. in loco di far l’offitio di avvocato, è venuto hoggi a farci una Predica, et ha fatto l’offitio di Predicatore. Replicò l’Avvocato che lui haveva detto il suo senso per la verità, che del resto, se ad essi pareva, che fusse altramente, facessero come gli pareva. Finalmente li Giudici pronuntiorno contro di lui la sentenza capitale conforme, che meritavano li delitti commessi. Che fosse menato per le strade più frequenti di Roma, e che avanti al Palazzo della Dataria gli fosse tagliata la mano destra, e poi menato in Campo de Fiori fosse quivi strozzato dal Carnefice, ovvero gli fosse data la mazzola in testa, e poi fosse appiccato per un piede, e finalmente il suo corpo fosse abbruciato, e le ceneri gettate nel Tevere. Questa sentenza così rigorosa fu moderata che gli fusse solamnete tagliata la testa. Il che fece il Papa per sua benignità et gratia del Principe D. Camillo suo Nepote; overo come dicono per privilegio che hanno li signori Canonici di San Pietro, che se alcuno di loro commettesse qualche delitto, per il quale meritasse qualsivoglia altra sorte di pena grave et ignominiosa, non se gli possa dare altra pena, che di troncarli il capo. Si dice che il Papa ne pianse, perché gli voleva tanto bene, che se non si scoprivano questi suoi demeriti, nella prossima passata Promottione l’haverebbe fatto Cardinale.

A dì 14 Aprile domenica dopo pranzo, Francesco Canonici già Sotto Datario detto Monsig. Mascambruno fu menato in carrozza serrata dalle Carceri di Tor di Nona alla chiesa di S. Salvatore in Lauro per degradarlo dalli Ordini Sacri. Concorse popolo infinito per vederlo, ma tal cerimonia fu fatta a porte serrate. Costui non si credeva mai di dover essere fatto morire laonde diede in una gran smania, e giunto in chiesa cominciò subito ad esclamare che li suoi nemici l’avevano condotto a quel termine; gli fu risposto che non era tempo allora di quelle parole et egli voltandosi a Monsig. Sacrista, il quale fu quello che lo degradò, lo chiamava per testimonio, e consapevole di quante persecuzioni lui aveva avute da chi li voleva male, e disse tanto, et parlò tanto, che fu bisogno di metterli la mordacchia.
Fu poi ricondotto in carcere, dove con gran fatica si ridusse ad accettar la morte volentieri, e disporsi a morire. Fu decapitato avanti giorno, e la sua testa fu la mattina delli 15 aprile esposta in Ponte nel loco dove sogliono esser morti i malfattori, et doppo un hora circa vi fu portato anco il suo corpo vilissimamente vestito in una bara, et accomodatavi la testa, et dopo poco tempo fu la bara portata dentro la cappelletta che sta appresso al Ponte, nella quale si confortano i condannati, et quivi stette serrato sino ad un hora di notte, et poi fu portato via senz’altro lume, che di una sola lanterna, non si sa dove. Questo fu il fine di quest’uomo, il quale da bassi natali giunse alli honori ecclesiastici con gran stima, fasto et vanità et più anco sarebbe asceso se per avarizia non si fusse traviato dal giusto et dall’honesto"".

fine

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