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C’è qualcuno che dice che in Italia la Giustizia è poco garantista, secondo me è vero il contrario. Perché permette ai rei, spesso già confessi, di difendersi oltre i limiti della decenza. Più che altro l’utilizzo delle leggi è diventato molto sfrontato. Persino l’evidenza dei fatti non basta ad accusare con certezza un delinquente. Secondo me tutto ha origine dal metodo di difesa all’americana. Il caso di O.J. Simpson ha fatto scuola. Dopo aver commesso il duplice omicidio, compiuto con una efferatezza predeterminata, Simpson fuggì, braccato dalla polizia e inseguito per miglia e miglia sull’autostrada, ponendo a repentaglio anche la vita degli altri. Era evidentemente colpevole. Dopo l’arresto, dopo una prima confessione spontanea, arrivarono gli avvocati, quelli da 9 zeri, quelli che se li paghi bene ti fanno diventare innocente anche Erode, anche Dracula, anche Ewilenko. Insomma quelli che permettono al ricco di farla sempre franca, per presunzione di innocenza, anche se ha compiuto una carneficina, mentre il povere per una presunzione di colpevolezza è atteso alla sedia elettrica. Questa è la democrazia americana, questa è la giustizia americana.
In Italia, Marazzita accetta la difesa dei casi clamorosi che si trovano sotto i riflettori, non si sa se per mettere alla prova se stesso o per protagonismo. Taormina si gettò a capo bassa sul caso Cogne, per portare avanti una tesi improbabile. Prima regola della difesa: negare l’evidenza. Sono ora moltiplicate le difese ad oltranza in molte cause penali. Molti casi restano aperti, quando un tempo si sarebbero chiusi in un battibaleno. Primo: non c’è più da parte del reo la coscienza del pentimento. Secondo: gli avvocati si sono americanizzati, riescono ad inventarsi delle incredibili congetture per non perdere la causa, perché è ovvio che non si tratta di far trionfare la giusta causa, ma di non subire l’onta della sconfitta. Quando ancora esisteva una morale, sino all’inizio degli anni Ottanta, l’avvocato si accertava della innocenza o colpevolezza del proprio assistito e agiva di conseguenza, cercando le attenuanti nel secondo caso con il beneplacito del cliente, affinché non fossero lesi i suoi diritti nei limiti delle colpe. Era una difesa di onore per salvare quel poco di dignità rimasta. Ora la parola d’ordine è “proscioglimento” , senza alternative.
Il vero colpevole, a caldo, in genere confessa, perché è comunque un essere umano; ma dopo aver incontrato gli avvocati, ritratta tutto, e sempre su loro consiglio, per giustificare l’errata confessione, si inventa le scuse più ridicole: “mi hanno estorto queste parole sotto pressione”. È una prassi consolidata. Poi il processo si allunga a dismisura, perché grazie al garantismo della Giustizia italiana, un’infinità di procedure, di normative, cavilli permettono di dilatare i tempi, chi è più bravo arriva al limite della prescrizione. Uno dei casi di questi giorni è la strage di Erba. Con un testimone oculare, anch’egli vittima, la sfacciataggine degli avvocati arriva al limite dell’insopportabile. Mi chiedo se è lecito, se è deontologicamente corretto, far passare per innocente un colpevole già dichiaratosi. Invece l’avvocato è immune, come le Banche sono immuni dall’accusa di strozzinaggio. Perché non esiste una legge che responsabilizzi gli avvocati? Perché non c’è una responsabilità civile, che regoli il loro operato, il loro abuso di difesa? Anche i Giudici vanno sotto processo se sbagliano. Come accade per i medici e per gli ingegneri. Perché cercare di far assolvere un assassino, sapendo che è colpevole, non è ugualmente disastroso di una operazione chirurgica fatta con negligenza? Quanti casi di reiterazione del reato? Quanti uomini assolti e poi tornati per ‘finire’ la ex-compagna? Colpa delle giurie, ma anche colpa di chi li ha difesi nella maniera ‘sbagliata’. Però fortunatamente i Giudici in Italia ancora non si sono americanizzati. E non si lasciano suggestionare dall’imputato potente di turno o dall’astrusa e dispendiosa difesa degli avvocati di grido. Cogne è un monito, un importante psichiatra ha dichiarato che il processo di Cogne ha provocato due vittime, il bimbo e la madre, non c’era un assassino da condannare ma una donna malata da curare, sia i familiari che gli avvocati, le hanno fatto cullare questa malattia, ad oggi quella donna, non ha ancora superato il malessere, la malattia è lì, latente.
C’è un film che all’epoca fece scalpore, Cape Fear. Un avvocato, Gregory Peck, ha in pugno la vittoria nella causa del cliente, Robert Mitchum , ma colto da una responsabilità civile per timore di far mettere in libertà un pericoloso criminale, la certezza della colpevolezza in un deplorevole atto delittuoso (il film trattava per la prima volta argomenti scottanti per il cinema, il che comportò numerosi tagli prima dell’uscita nelle sale), lascia che l’imputato venga condannato. Quando esce di prigione, il principale pensiero del cliente sarà la vendetta. È stato fatto anche un remake con un ottimo De Niro, ma non raggiunge la carica di inquietudine del primo film, lo sguardo perverso di Mitchum, l’ambiguità del suo comportamento nei confronti della figliola dell’avvocato. Gli Stati Uniti sanno fare anche autocritica; questo sapersi guardare dentro, nell’anima nera e riconoscere le colpe, ne fa ancora un grande paese. In USA c’è la libertà di stampa e di opinione…