venerdì, maggio 25

Il bene



Tulian non festeggiava onomastici. Quando era piccolo, la madre per consolarlo gli diceva che ancora dovevano farlo un santo con quel nome e a lui forse spettava riempire il vuoto nel calendario. Tulian crebbe nella bontà e nella giustizia, nell’amore verso il prossimo, non conosceva odio. Nessuno riusciva ad essergli nemico, a chi gli stava vicino trasfondeva serenità e ottimismo verso il futuro. Tulian era un santo, ma nessuno lo sapeva ufficialmente. Per quelli che lo conoscevano già lo era. Molte persone si avvicinarono a Tulian per ascoltare le sue parole, erano diventati talmente tanti che un giorno decise di andare dal Papa per avere la benedizione per il suo piccolo gruppo di anime. Dopo aver camminato per chilometri e chilometri, tutto stracciato con le scarpe bucate, i capelli lunghi e zozzo, arrivò all’ingresso del Vaticano. Le guardie svizzere non mossero lancia., il loro comandante aveva ordinato l’immobilità totale. Per tutte le beghe ci pensava la forza pubblica italiana. Tulian per un po’ sostò dinanzi una guardia, chiedendo di entrare. Non ricevendo risposte, decise di varcare la soglia. Fu immediatamente bloccato da carabinieri e polizia. Spinto con premura fuori: “vai, vai…”. “Ma io devo parlare con il Papa…”. “Ah, ah… la prossima volta…” Tulian si allontanò di una trentina di metri. Si sedette vicino ad un muro e attese. Ogni volta che passava un’auto con dentro qualche notabile correva vicino enunciando la richiesta di visita. I cardinali lo guardavano un attimo, giusto il tempo di chiudere il finestrino, che poi ci pensava l’autista. Ma questo lo facevano solo i più pii, altri non giravano neanche la testa. Per sei giorni senza mangiare e bere, la grande fede nel Signore lo teneva in vita. Un ispettore di polizia chiese delucidazione ai colleghi. Si avvicinò a Tulian. Era sdraiato a terra, debolissimo. “Come stai? Mi senti?”. “Devo parlare con il Papa”. “Chiamate il pronto soccorso”. Arrivò un’autoambulanza e se lo portò via. Tulian era stato fortunato perché i poliziotti lo avevano tenuto d’occhio, altrimenti sarebbe morto come un cane. Fu ricoverato d’urgenza. Rimase in ospedale per una settimana, gli infermieri lo obbligarono a lavarsi. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che ripetere che doveva parlare col papa. Non c’era nessuno che lo prendesse sul serio, tanto la richiesta era assurda. Veniva a tutti da ridere: “Ah ah ah… tu sei tocco, bello mio, diceva una grassa e simpatica infermiera, “chi sei tu perché il Santo Padre ti riceva? Sei solo un povero straccione”. Tulian non dava conto a queste parole, per lui il Papa era colui che porta la voce del Signore. Una vecchietta, ricoverata nella stessa camera, sola e poverella, si incuriosì di quel ragazzo così silenzioso e assorto. “Dimme un po’, ma tu che ce voi di’ ar papa?” . Tulian raccontò dei suoi amici che stavano sulla montagna, che lo aspettavano, dell’amore immenso che sprigionavano verso tutte le cose del creato. L’entusiasmo che metteva nel suo raccontare, emozionò la vecchietta. “Ah, figliolo bello”, prese un fazzolettino per asciugarsi la lacrima che le era scesa sino alla bocca sdentata, “tu stai a di’ cose che nun esistono più. L’amore! Eh, l’amore… e ando’ sta l’amore? Oggi nun c’è niente, anche l’amore se paga. Vabbe’ che anche ai miei tempi …, però quarcheduno come te, forse c’era ancora.”. Tulian sorrideva alla vecchina, si alzò dal letto e le dette una carezza. La donna, che forse solo da bambina aveva ricevuto un gesto di affetto simile, gli prese la mano e gliela baciò. “Io devo andare lo stesso, sento che questo è il mio dovere. Il Papa è il Signore che lo guida”. La vecchina scosse il capo. “Senti, perché non vieni da me? Nun te ne sta’ sur marciapiede a mori’ de fame. Poi de giorno vai ar cancello a prega’ chi voi tu, ma la sera vieni a dormi’ a casetta mia. Io ho pochissimo, ma un piatto cardo te lo posso fa’ ”. Tulian aprì l’armadietto e uscì i vestiti. “E mò che fai?” “Devo andare, la mia preghiera non è solo vocale ma è il mio atto, non posso offrire nulla al Signore che la mia lieta sofferenza”. Indossò di nuovo le luride vesti. Baciò sul capo l’anziana donna lasciandola con un sorriso e se ne andò.

Ritornò ai cancelli vaticani. “Oddio, arieccolo!”, esclamò una guardia. Si mise al solito posto e attese. Dopo due giorni, un poliziotto mosso da pietà gli passò un piattino di plastica con un mezzo panino avanzato dalla sua colazione. Tulian ringraziò, il cibo della generosità dell’uomo era ben accetto. Il poliziotto gli chiese se non era il caso di andarsene. “Vai a casa, vai da tua madre che starà in pensiero. Che ce stai a fa’ qua? Ma nun l’hai capito che sì nun sei un ricco e potente questi qua manco te vedeno?” Tulian mangiava e sorrideva. “Io comunque te l’ho detto. Vattene tu prima che a qualcuno viene il ghiribizzo de farti la festa “. Tulian sorrise come al solito. Il poliziotto pensò che era proprio perso: ”…vabbe’, nun te preoccupa’. Fino a che ce sto io, almeno le mani addosso nun te le faccio mette’ da nessuno”. Passò ancora una settimana. Tulian era riuscito a tirare avanti con i soldi della carità. Un dispiego di sirene, un frullar di motori, annunciò l’ingresso del Papa, dopo un lungo viaggio. Tulian capì, si mise al limite della zona di rispetto. L’auto del Papa, tutta scura con i vetri neri passò veloce. Tulian ebbe appena il tempo di vederla. Tornò a sedersi. Due mesi andarono via. Arrivò Natale e passò. La vecchina uscita dall’ospedale dopo un lungo ricovero, era tornata a casa e aveva raccontato ad una vicina l’incontro con quello strano ragazzo. Ora capitò che la vicina passando in zona Vaticano, gli parve di vederlo e quando si ritrovò a parlare con la donna glielo disse. “Con questo freddo! Poverino, ma questo ci muore…” Si era all’inizio di Gennaio, sbuffava un nevischio e l’aria era dura come il ghiaccio. La donna prese un maglione e cappotto e li mise in una sacca, poiché c’era lo sciopero dei mezzi pubblici, lei che abitava in periferia, attraversò tutta Roma a piedi. Era notte fonda quando arrivò. Lo riconobbe subito, un fagotto raggomitolato al muro di un palazzo. Si avvicinò. “Ehi, ragazzo!” Con la sua manina esile e ossuta gli batté dei colpetti sulla spalla. Lui non si mosse. “Ragazzo…!”, appoggiò la sacca a terra, con entrambe le mani lo girò. Tulian era morto.

3 commenti:

Kaishe ha detto...

Chissà perchè ma non fatico a credere che nessuno dei Fedeli si sia fermato ad ascoltare Tullian... men che meno il Papa...
Ma anche se fuori dalle loro porte sostasse Gesù per mesi e mesi. temo che non riuscirebbero a pensare ad altro che alla seccatura di quello straccione che non se ne va...

Anonimo ha detto...

Interessanti le osservazioni di questo sacerdote (per lui ci vuole un bel coraggio ad esprimerle):
http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=007216

Kaishe ha detto...

Io sono una cristiana assidua nella frequentazione della Chiesa... ma credo che se amo Dio (sarebbe meglio dire Gesù, perchè è nella sua uamniotà che Dio diventa "amabile", secondo me) è perchè ho comosciuto Sacerdoti che non si dimenticavano mai di essere uomini e non si vergognavano di dimostrare le loro debolezze e le loro cadute che diventavano così la vera forza della loro Fede...
Purtroppo la struttura gerarchica della Chiesa e la presa di posizione di taluni poteri forti all'interno di essa, emarginano sempre più proprio i "figli" che più avrebbero bisogno del suo aspetto materno...
Allora si può continuare a volerne far parte solo se la si considera nella Sua idealità, accettando di conseguenza le espressioni di umanità che talvolta la rendo proprio "disumana", cioè "lontana dagli uomini ed estranea ad essi"...
Non so se sono comprensibile... ma spero che almeno i concetti possano essere intesi...